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Rinascimento: lo splendore della ceramica

Ceramica

Aveva Alessandro VI, nel volere fare grande el duca suo figliuolo, assai difficultà presenti e future. Prima, e' non vedeva via di poterlo fare signore di alcuno stato che non fussi stato di Chiesa; e, volgendosi a tòrre quello della Chiesa, sapeva che el duca di Milano e gli Viniziani non gnene consentirebbano; perché Faenza e Rimino erano di già sotto la protezione de' Viniziani (Niccolò Machiavelli, "Il Principe", 1513).

Dalla metà del '500, con l'ampia divulgazione del trattato storico-politico del Segretario fiorentino, ecco gli accadimenti riguardanti Faenza riaffacciarsi in un'opera di grande importanza nel panorama culturale italiano ed europeo. Nel capitolo VII, da cui è stato tolto il brano, Machiavelli ricostruisce le mosse del Valentino (il duca Cesare Borgia) che, con l'aiuto di suo padre papa Alessandro VI e del re di Francia, negli anni 1500-1501 conquistò la Romagna, segnando la fine di molte piccole signorie, compresa quella di Faenza. Per tutto il corso del '400, invece, i Manfredi avevano continuato a governare brillantemente la città grazie ad una serie di condottieri che per fiuto politico e spirito bellico non erano da meno dei predecessori.

Nel 1410 Gian Galeazzo I - figlio di Astorgio I - aveva riconquistato Faenza, riordinandone poi la confusa legislazione. Morto di peste nel 1417, gli succedono tutti e quattro i figli maschi ancora minorenni: Carlo I, Guidantonio, Astorgio II e Gian Galeazzo II. Ma, nel volgere di poco tempo, è di fatto Guidantonio (Carlo scompare giovanissimo) a detenere la signoria di Faenza per una trentina d'anni.

Proprio in questo periodo Firenze e Venezia (e, in parte, anche la Chiesa), preoccupate per le mire espansionistiche dei milanesi Visconti, cercano alleati. Guidantonio e il fratello minore Astorgio si inseriscono proficuamente nelle grosse contese, alternando il compito di reggere Faenza al mestiere di capitani di ventura. E in questa seconda attività i due, come era costume dei condottieri mercenari, passano indifferentemente dai fiorentini ai milanesi, distinguendosi per valore e procurandosi lauti compensi, nonché alcuni domìni nei dintorni di Faenza. Pochi ma di grande fascino sono gli edifici sorti in città in questo periodo e giunti sino a noi. Tra essi ricordiamo la loggia della Casa di Dio detta "loggia dei fantini" e il chiostro del convento dei Servi, che oggi fa parte della Biblioteca comunale.

Alla morte di Guidantonio, nel 1448, il fratello Astorgio II assume il controllo della città. Dopo la pace di Lodi del 1454 che fa temporaneamente cessare le lotte tra i grandi stati italiani, le occasioni di guerreggiare si fanno più scarse, e il nuovo signore di Faenza può promuovere una maggiore attività edilizia, dando impulso alla costruzione delle mura iniziate dal nonno. Ed è sempre Astorgio II che affida l'ex chiesa di S.Perpetua, fuori porta Montanara, ai frati minori Osservanti, i quali la dedicano a S.Girolamo e affidano a Donatello l'incarico di realizzare una pregevole statua lignea del santo, ora in Pinacoteca. L'istituto conserva un'altra scultura coeva, in marmo, raffigurante il busto di S.Giovannino (proviene dalla chiesa della Commenda) e attribuita ad Antonio Rossellino.

Ma è ormai la ceramica ad avere un ruolo preponderante nella vita artigianale ed artistica faentina. Dai primi decenni del secolo, infatti, la produzione di stoviglieria si è evoluta e raffinata assumendo anche funzioni ornamentali (i cosiddetti "piatti da pompa"). Abbandonata la ceramica graffita, gli artigiani si specializzano in quella smaltata, ovvero nella maiolica, mentre ai colori tradizionali si aggiungono il giallo e il turchino. La produzione del primo Rinascimento, in stile severo, può essere distinta in due diversi momenti. Nella fase iniziale (1420-1460 circa) si affermano le due "famiglie" o gruppi decorativi della zaffera a rilievo ed italo-moresca. Il secondo momento (1460-fine secolo) è invece caratterizzato dalle decorazioni gotiche, ad occhio di penna di pavone e a palmetta persiana.