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Sei e Settecento

Torre

"(...) la gente di Faenza arriva e passa. / Tutti son cavalier, fuora che dui / staffieri a piè del capitan Fracassa. / Del buon sangue Manfredo era costui, / onor di quell'età cadente e bassa; / secento ha seco, e cento, i più garbati, / di maiolica fina erano armati" (Alessandro Tassoni, "La secchia rapita", 1622).


Nel Canto V, quasi a metà del celebre poema eroicomico ambientato «al tempo dell'imperador Federico Secondo», assistiamo alla sfilata dei fieri alleati di Bologna, città che ha intrapreso una guerra contro la vicina Modena per tornare in possesso di una secchia di legno. Marciano dunque in armi tutte le città di Romagna: nessuna è risparmiata dalle divertenti frecciate dell'autore. Così Tassoni immagina che cento guerrieri di Faenza, «i più garbati», sfoggino un'armatura interamente di maiolica.

L'annotazione comica è segnale di un innegabile dato di fatto: agli inizi del '600 la fama della ceramica faentina è ben consolidata, tanto da costituire il simbolo della città. Di più: è proprio in quest'epoca che il termine francese "Faïence", traduzione di Faenza, assume universalmente il significato di "maiolica". Ciò è dovuto alle notevoli esportazioni in Europa delle ceramiche faentine: soprattutto dei famosi bianchi, estrema evoluzione del compendiario, in cui l'ornato si riduce moltissimo o scompare del tutto, mentre si privilegiano forme complesse sino al virtuosismo. Altro "filone", decisamente più popolare, è quello delle targhe votive da porre sui muri delle case o nei pilastrini dei crocicchi. Ma con l'avvio del nuovo secolo, Faenza riprende a crescere anche in senso urbanistico e architettonico. È prima di tutto la piazza centrale ad arricchirsi di due grandiosi monumenti: la Fontana e la Torre dell'orologio, entrambe di padre Domenico Paganelli. Circa la prima, si sa che l'esigenza di dotare la città di un "fonte pubblico" si era profilata già alla fine del '500 e a Paganelli era stato conferito l'incarico di trovare una sorgente adatta e di stilare il progetto. L'opera, dopo un'interruzione di una trentina d'anni, viene ripresa nel 1614 per impulso del cardinal Domenico Rivarola ed inaugurata nel 1621. Un efficiente sistema di cisterne e condotti di terracotta, studiato da padre Paganelli, conduceva l'acqua dalla vicina località di Errano sino alla piazza della città, alimentando nel tragitto alcune piccole fonti. L'acqua zampillava infine dalle molte bocche della bella Fontana - ideata da Domenico Castellani - in pietra d'Istria con leoni rampanti (simbolo di Faenza), draghi ed altre applicazioni in bronzo. Collocata a destra del Duomo, la Fontana ha avuto nei secoli successivi numerosi restauri, l'ultimo dei quali risale a qualche anno fa. Di fronte alle due monumentali opere troviamo invece il Portico degli Orefici, costruito anche questo agli inizi del '600.

Non molto distante si staglia la Torre dell'Orologio: di essa ci ha lasciato un ritratto rapido e surreale Dino Campana nei "Canti Orfici":

«Una grossa torre barocca: dietro la ringhiera una lampada accesa: appare sulla piazza al capo di una lunga contrada dove tutti i palazzi sono rossi e tutti hanno una ringhiera corrosa (...). Ascolto: la grossa torre barocca ora accesa mette nell'aria un senso di liberazione. L'occhio dell'orologio trasparente in alto appare che illumina la sera, le freccie dorate: una piccola madonna bianca si distingue già dietro la ringhiera colla piccola lucerna corrosa accesa (...)».

La Torre dei sogni inquieti del poeta fu fatta saltare nel 1944 dai Tedeschi in ritirata, venne però ricostruita identica per conservare intatto l'aspetto della piazza. La statua della Madonna, opera di Francesco Scala, è invece quella originaria: recuperata tra le macerie, restaurata e ricollocata nell'edicola della Torre.