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L'Atene della Romagna

Teatro

"L'argomento di questa tragedia è tratto dal Tonducci nella sua Storia di Faenza. L'essere io stato educato in quella culta, e brillante Città, ove contrassi tante buone amicizie; l'aver veduto ocularmente la stanza medesima, in cui narrasi esser seguito questo tragico avvenimento; gli amici, che per amor di patria mi stimolarono a trattarlo; il mio desiderio di dar loro un solenne attestato della mia gratitudine; furono questi i motivi, che mi mossero a scrivere il "Galeotto Manfredi" (Vincenzo Monti, Premessa a "Galeotto Manfredi principe di Faenza", 1788).

Una delle principali opere romane del Monti, ancora lontano dall'essere poeta ufficiale del Regno napoleonico in Italia, è un'ingenua tragedia ispirata all'assassinio del penultimo Manfredi. L'autore, romanzando consapevolmente l'episodio ("Avverto, che la storia ha servito a me, non io alla storia"), riprende lo schema dell'"Otello" shakespeariano rovesciando le parti: al buon Galeotto - anche se realmente fedifrago - spetta il ruolo di Desdemona, mentre l'altrettanto retta ma gelosissima Francesca Bentivoglio viene manovrata a fin di male proprio come il Moro di Venezia. Su tutti incombe la perfidia del cortigiano Zambrino, degno emulo di Jago.

La Faenza di fine '700 elogiata dal poeta romagnolo è un piccolo nucleo urbano abbastanza prospero, ormai alla vigilia di clamorosi rivolgimenti storici. Spiccano, tra i cittadini più eminenti, diversi aristocratici convertiti agli ideali filofrancesi: sono proprio costoro a dare il via a quel processo di rinnovamento architettonico che nel volgere di 50-60 anni porterà il centro storico ad assumere un volto spiccatamente neoclassico, davvero unico in Romagna. Artefici della trasformazione di Faenza sono soprattutto gli architetti Giuseppe Pistocchi, Giovanni Antonio Antolini e Pietro Tomba, cui si accompagna l'opera di geniali decoratori come il pittore Felice Giani (insieme all'allievo Gaetano Bertolani), lo scultore Antonio Trentanove e i Ballanti Graziani, famiglia di plasticatori.

Tra i primi edifici ispirati al nuovo gusto antibarocco c'è il grande palazzo Laderchi, dalle sobrie forme neocinquecentesche. Progettato nel 1780 da Francesco Tadolini - già autore della chiesa di S.Domenico -, viene realizzato in una decina d'anni e splendidamente decorato nel 1794 dal piemontese Giani (appositamente chiamato dai conti Achille e Ludovico Laderchi) e dal riminese Trentanove. Particolarmente affascinanti sono la Galleria delle Feste, con le storie di Amore e Psiche, e lo studiolo ellittico dedicato all'astronomia.